Equisetum

Equisetum L., 1753 è un genere di piante vascolari Pteridofite appartenenti alla famiglia Equisetaceae, conosciute comunemente con il nome di code di cavallo.
Sono tra le piante più antiche della terra: il ritrovamento di resti fossili di alcune specie dell’ordine delle Equisetales indicano che erano piante diffuse già alla fine del Devoniano (395 – 345 milioni di anni fa). Dal punto di vista filogenetico sono piante più primitive delle angiosperme, infatti sono senza organi sessuali distinti, si propagano e si riproducono per mezzo di spore. Al genere Equisetum appartengono 15 specie, delle quali poco meno di una decina sono proprie della flora italiana.
Il nome generico (Equisetum) significa “crine di cavallo”; la radice equiset- deriva infatti dal latino equi saeta, ossia coda (saeta, -ae, lett. crine) di cavallo (equi, gen. di equus, -i). Dobbiamo a Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa – 90 circa), che fu un medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell’imperatore Nerone, una delle prime descrizioni dettagliate di queste piante.
Si tratta di piante perenni che, alle latitudini più miti, appassiscono d’inverno; ai tropici sono invece sempreverdi, come pure alcune specie della zona temperata (E. hyemale, E. sciropides, E. variegatum, E. ramosissimum).
La forma biologica più ricorrente è geofita rizomatosa (G rhiz), ossia sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei detti rizomi (un fusto ipogeo dal quale, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei). In realtà anche durante i periodi più avversi la pianta deve continuare a vivere per cui alcuni brevi rami ipogei laterali si trasformano in tuberi rotondi contenenti sostanze di riserva per lo svernamento.
Le dimensioni variano molto da specie a specie: generalmente, la maggior parte di queste piante producono fusti di dimensioni comprese tra i 20 cm e il metro e mezzo, raramente l’E. telmateia può raggiungere i 2,5 m, mentre le specie tropicali E. giganteum e E. myriochaetum raggiungono rispettivamente i 5 m e gli 8 m e più, anche se a volte essendo i fusti troppo deboli sono costretti a sostenersi ad altre piante come rampicanti.
Le radici sono secondarie (fascicolate) da rizoma e di tipo avventizio. Generalmente sono dei ciuffi che si diramano dai nodi del rizoma e durano un anno al massimo.
La parte ipogea del fusto consiste in un rizoma orizzontale (strisciante oppure no) con ingrossamenti tuberiformi e varie ramificazioni a volte anche intricate e profonde fino a un metro che danno luogo a germogli aerei eretti e quindi ai corrispondenti fusti epigei. I germogli hanno la caratteristica di essere provvisti inizialmente di una sola cellula apicale, molto grande, a forma di tetraedro (più o meno piramidale), dalla quale si generano per divisione le cellule successive per lo sviluppo del fusto adulto.
La parte epigea (detta anche più precisamente culmo) consiste in due tipi di fusti:
• fusti fertili, bianchicci o bruni (a volte di colore giallastro) e quindi privi di clorofilla), atti alla riproduzione; sono provvisti di nodi e relativi internodi con un solo strobilo apicale di sporofilli (foglia modificata che porta gli sporangi, alloggiamento delle spore – i “semi” delle Pteridophyte); ai nodi sono presenti delle foglie; mentre i rami generalmente sono assenti, a parte alcune specie come E. palustre e altre tropicali. Se lo strobilo viene scosso, fuoriesce una nuvola verde-gialla di spore;
• fusti sterili, ruvidi di colore verde e quindi fotosintetici. In questi fusti le foglie sono così poco significative che il fusto si sostituisce ad esse per il processo fotosintetico anche tramite degli stomi. Questi fusti sono ramificati con una decina e più di rametti normalmente a quattro coste posti in verticilli alla base delle foglie a sua volta poste nei nodi del fusto; anche i rametti sono articolati in nodi e relativi internodi. Questi secondi fusti normalmente si sviluppano solamente dopo che quelli fertili hanno assolto alla loro funzione riproduttiva.
La presenza dei due tipi fusti, fotosintetici e non-fotosintetici, è limitata ad alcune specie del sottogenere Equisetum, mentre tale dimorfismo è assente nel sottogenere Hippochaete.
Entrambi i fusti sono fortemente scanalati longitudinalmente (sono alati); le striature verticali (fino a 40 e più) presentano inoltre la particolarità di essere sfalsate passando per due internodi contigui. In questo modo i rametti si trovano sfalsati gli uni rispetto agli altri così da ricevere più luce solare. I fusti sono cavi (cavità midollare) o fistolosi, infatti all’interno è presente una sottile cavità longitudinale spesso vuota. Questa struttura morfologica, che è una delle caratteristiche più importanti di tutte le Equisitaceae e quindi del genere Equisetum, si chiama “sifonostele” (da “sifone”). In particolare questo “sifonostele” è di tipo “ectofloico” in quanto il midollo centrale è avvolto da un mantello di legno (xilema) a sua volta circondato da uno strato continuo di libro (floema). Importante è anche la presenza di una corona di fasci conduttori collaterali (struttura chiamata “eustelica”).
Le foglie, anche se non possono sembrare, sono megafille e appaiono così perché hanno perso la loro funzione fotosintetica. Sono situate in corrispondenza dei nodi del fusto, sono erette e appressate al fusto stesso. Sono concresciute le une alle altre (formano una specie di collaretto lobato o guaina attorno al fusto) e non sono differenziate in picciolo e lamina fogliare; possono ricoprire in parte o completamente l’internodo. La forma è lanceolata, squamiforme con un unico nervo dorsale e apice acuminato di colore bruno. Il numero delle foglie (e relativi denti) secondo le specie può essere di poche unità come diverse decine.
Gli equiseti rappresentano un genere praticamente cosmopolita, diffuso in tutti i continenti, con l’eccezione di Oceania e Antartide. La specie più diffusa in Europa è E. arvense.
Le specie del sottogenere Equisetum vegetano dalla latitudine 80° Nord sino a 40° Sud. La maggior parte di esse si trovano nella zona temperata dell’emisfero nord, mentre poche specie estendono il loro areale nella fascia subtropicale e una sola specie, E. bogotense, si spinge nella zona tropicale dell’emisfero meridionale. Le specie del sottogenere Hippochaete sono presenti in entrambi gli emisferi, in un range latitudinale che va dall’Isola di Ellesmere (79º N) sino all’Argentina (approssimativamente 40º S).
La maggior parte delle specie prediligono terreni sabbiosi umidi, alcune sono semi-acquatiche e altre si sono adattate a terreni argillosi.