Prima dei fornelli pag. 8

prevede la legge, il micelio non viene esposto e danneggiato e il corpo fruttifero è estratto in perfette condizioni da ogni punto di vista. Se invece si zappa il terreno cercando gli esemplari acerbi (e privi di profumo) ma più pesanti, si distrugge la tartufaia. Questi esemplari acerbi, “sirin¬gati” con l’aroma di sintesi e opportu¬namente lavorati, costano meno e rendono ben di più al commerciante senza scrupoli. Inoltre, zappando la tartufaia, si tirano su anche le primizie, mature ma pressoché sempre larvate, che avrebbero la funzione di diffon¬dere le spore e che non sarebbero commestibili per la presenza dei vermi…ma tanto i vermi nelle salse e creme al tartufo non si vedono…
E così la tartufaia muore.
Da un paio d’anni i truffatori si sono ulteriormente perfezionati: comprano in Nord Africa dei funghi ipogei simili ai tartufi – quelle Terfezia che i Romani apprezzavano tanto ma solo perché l’America (… e le patate) non era ancora stata scoperta – ma privi di profumo, li pagano mediamente 800 lire al chilo, li “siringano” con l’aroma di sintesi, fan loro un tantino di maquillage e poi li vendono in vasetto a un paio di milioni al chilo!
Qualche consiglio: i tartufi innanzi tutto si gustano assai meglio freschi nella loro stagione; se proprio vogliamo provare preparazioni “al tartufo”, come formaggi, qualche crema, paste ecc. o vogliamo qualche tartufo conservato per serate particolari, allora preferiamo ugualmente prenderli sul posto, lasciandoci consigliare magari dalle associazioni locali di tartufai (che ben sanno chi usa vero tartufo e chi invece fa il furbetto) e, comunque, solo se sull’etichetta non portano quell’orrenda scritta generica “aromi naturali”; anche comprando tartufo fresco stiamo attenti che sia ben maturo: la corretta maturazione, come già detto, non si evidenzia col colore più o meno scuro, che dipende dall’albero con cui il fungo convive, ma con il disegno della gleba, che deve mostrare venature differenziate in modo netto (in una partita qualche esemplare un po’ spaccato che mostra le venature c’è sempre e perlomeno indica se il momento di raccolta, in quella zona, è già corretto), non ci fidiamo invece più semplicemente del profumo perché un solo tartufo giusto può dare aroma apparente a tutti gli altri.

LA TRUFFA DELLE PIANTINE MICORRIZZATE

Essendo il tartufo un fungo che vive in simbiosi con una pianta superiore dotata di clorofilla, la sua coltivazione è indiretta: si coltiva l’albero commensale per ottenere anche i tartufi. Ma tra l’ottenimento di buone tartufaie in territori adatti e la coltivazione di pianticelle da tartufo sul balcone di casa, come vorrebbero far credere alcuni slogan pubblicitari diffusi su tutta la stampa, ce ne corre. Per evitare di subire vere e proprie truffe, occorre precisare che la tartuficoltura va intesa come attività agro-forestale che consente una cospicua integrazione del reddito: il suo ruolo è importantissimo non solo per i rilevanti aspetti economici legati all’altissimo prezzo dei tartufi, ma anche per quelli agrari, forestali, ambientali, idrogeologici connessi al rimboschimento con piante tartufigene. Purtroppo la promozione di questa attività da parte in particolare della televisione ha creato una schiera di vivaisti improvvisati che, senza scrupoli, propongono ed effettuano la coltivazione in qualsiasi luogo e con materiale che tutto è fuorché materiale tartufigeno. Questi produttori raggirano gli acquirenti praticando costi elevatissimi (L.300.000 a piantina) e promettendo loro una coltivazione facile, sicura, rapida, senza rischi, con rese miliardarie. Ovvia la delusione successiva. Chi volesse intraprendere questa attività per hobby o per lavoro deve pertanto verificare, rivolgendosi alle Regioni, all’Amministrazione Forestale (che sovente dà le piantine a prezzo politico), ai centri universitari specializzati l’effettiva vocazione del terreno pre¬scelto alla tartuficoltura, il che è un presupposto essenziale. Poi deve acquistare – a prezzi ben più bassi di quelli proposti dagli imbroglioni di cui sopra – piantine effettivamente micorrizzate (ossia tartufigene) da laboratori seri e specializzati, chiedendone gli indirizzi agli stessi enti prima citati. Infine deve effettuare gli impianti con i criteri, non semplici, indicati da questi centri specializzati