Petasites

Petasites Miller, 1754 è un genere di piante spermatofite dicotiledoni appartenenti alla famiglia delle Asteraceae, dall’aspetto di erbacee perenni e dalla infiorescenza a pannocchia.
Sembra che sia stato Dioscoride Pedanio (Anazarbe in Cilicia, 40 circa – 90 circa), medico, botanico e farmacista greco antico che esercitò a Roma ai tempi dell’imperatore Nerone, a nominare per primo queste piante col nome di Petasites riferendosi alle grandi foglie simili al petàsos un cappello a grandi falde usato dai viaggiatori del suo tempo. Nome ripreso più volte in tempi moderni da vari botanici (Tournefort, Adanson o Gaertner) e comunque consolidato, come genere, da Linneo nel 1735 e collocato nelle “Corimbifere”. Il nome scientifico attualmente accettato (Petasites) è stato proposto dal botanico scozzese Philip Miller (Chelsea, 1691 – Chelsea, 1771) in una pubblicazione del 1754.
I dati morfologici si riferiscono soprattutto alle specie europee e in particolare a quelle spontanee italiane. Sono piante robuste e perenni le cui altezza varia da qualche decimetro fino a un metro (massimo 120 cm) e presentano un forte dimorfismo tra le foglie cauline e quelle radicali. La forma biologica per tutte le specie spontanee italiane è geofita rizomatosa (G rhiz); ossia sono piante perenni erbacee che portano le gemme in posizione sotterranea. Durante la stagione avversa non presentano organi aerei e le gemme si trovano in organi sotterranei chiamati rizomi, un fusto sotterraneo dal quale, ogni anno, si dipartono radici e fusti aerei (riproduzione vegetativa); altrimenti queste piante si possono riprodurre anche a mezzo seme.
Le radici sono secondarie da rizoma.
• Parte ipogea del fusto: la parte sotterranea consiste in rizomi grossi o sottili, chiari o scuri secondo la specie, spesso sono tubulosi.
• Parte epigea del fusto: i fusti aerei sono grossi e tubolosi (cavi) generalmente di colore bruno-arrossato. Il portamento è eretto e non sono ramificati. Nella parte iniziale dello sviluppo (fino alla fioritura) il fusto è ricoperto solamente da squame, poi (a fine fioritura) incominciano a formarsi le foglie radicali.
• Foglie basali: le foglie radicali sono grandi e a forma rotondeggiante, triangolare-cuoriforme o reniforme e lungamente picciolate. Il bordo è dentato (a volte in modo grossolano, altre con dentatura doppia). L’insenatura basale (il punto d’inserzione del picciolo) in alcune specie è notevolmente pronunciata. Generalmente le pagine superiori sono verdi e glabre, mentre quelle inferiori sono ricoperte da una lanugine biancastra di tipo cotonoso. I piccioli facilmente sono scanalati e possono essere sia glabri che tomentosi. Normalmente queste foglie si formano dopo la fioritura. Dimensioni massime: larghezza 80 cm; lunghezza 45 cm.
• Foglie cauline: quelle cauline sono sessili e abbraccianti il caule; la loro forma è lanceolata con un debole ripiegamento all’apice e rimpiccioliscono lievemente verso l’infiorescenza. Il colore di queste foglie, come quello del fusto, è più o meno arrossato.
L’infiorescenza è formata da diversi capolini sub-sessili. La forma è una racemo ovale che poi alla fioritura si allunga. Le infiorescenze sono comunque tutte terminali. La struttura dei capolini è quella tipica delle Asteraceae: un peduncolo sorregge un involucro campanulato (o sub-cilindrico) composto da diverse (da 12 a 15) squame lineari e non tutte uguali, disposte in modo embricato in un’unica serie (a volte anche in 2 – 3 serie) che fanno da protezione al ricettacolo nudo (senza pagliette), piano o leggermente convesso, ma alveolato, sul quale s’inseriscono due tipi di fiori: i fiori femminili, quelli esterni ligulati, e i fiori ermafroditi, quelli centrali tubulosi. Le squame sulla superficie hanno da 1 a 5 nervi, mentre il bordo è scarioso. Diametro degli involucri 6 – 15 mm.
Queste piante sono fondamentalmente dioiche in quanto le infiorescenze (rispetto alla composizione dei capolini) possono essere di due tipi:
• Androdiname – piante maschili: alla periferia i fiori femminili sono pochi (da 1 a 20) in un’unica serie; mentre nella zona centrale del disco i fiori ermafroditi sono pochissimi in quanto quasi sempre lo stilo è sterile e quindi in maggioranza i fiori risultano maschili (da 10 a 80); in queste piante inoltre il racemo si presenta più ovale e i fiori appassiscono subito dopo la fioritura.
• Ginodiname – piante femminili: alla periferia non sono presenti i fiori femminili, mentre nella zona centrale del disco la maggioranza è composta da fiori femminili (da 30 a 130) e pochissimi fiori ermafroditi (o maschili: da 1 a 12); in questo caso l’infiorescenza assomiglia di più ad una pannocchia allargata ed è più persistente (questo per dare il tempo agli ovari di trasformarsi in frutti).
I fiori sono zigomorfi, tetra-ciclici (formati cioè da 4 verticilli: calice – corolla – androceo – gineceo) e pentameri (calice e corolla formati da 5 elementi). Il colore dei fiori è bianco, rosato o violetto.
• Formula fiorale:
K 0, C (5), A (5), G 2 (infero)
• Calice: i sepali sono ridotti ad una coroncina di squame.
• Corolla: tutti i fiori (maschili – femminili) hanno delle corolle tubulari a 5 denti; solo quelli femminili in posizione radiale hanno la corolla sempre a tubo ma troncata obliquamente (o lievemente ligulata).
• Androceo: gli stami sono 5 con dei filamenti liberi; le antere invece sono saldate fra di loro e formano un manicotto che circonda lo stilo. Le antere alla base sono ottuse.
• Gineceo: lo stilo è unico, articolato con uno stimma filiforme o ovale e sporgente dal tubo corollino; l’ovario è infero e uniloculare formato da due carpelli concrescenti e contenente un solo ovulo.
• Fioritura: tutte le specie italiane fioriscono alla fine dell’inverno o inizio primavera.
• Impollinazione: tramite insetti (Impollinazione entomofila) e vento (Impollinazione anemofila).
Il frutto è un achenio sub-cilindrico con superficie solcata (5 – 10 coste) e glabra. All’apice è presente un pappo bianco candido formato da diversi peli lunghi (da 60 a 100), molli e denticolati.
Il genere è diffuso soprattutto nelle regioni sub-artiche e temperato-fresche dell’emisfero boreale, mentre l’habitat tipico per le sue specie sono le zone ombreggiate e umide. In queste aree (ad esempio lungo le sponde dei ruscelli) è facile trovare in tarda primavera delle zone molto estese ricoperte fittamente dalle grandi foglie radicali di queste piante. Delle specie spontanee della flora italiana tutte vivono sull’arco alpino.

Lascia un commento